Itinerario paleocristiano

Poche le testimonianze della diffusione del Cristianesimo nei primi due secoli dopo Cristo in Sicilia Occidentale ancora fortemente pagana. I ritrovamenti di numerosi reperti di architettura ed arte funeraria cristiane del IV secolo testimoniano la diffusione del culto cristiano in seguito alla emanazione da parte di Costantino dell’editto di Milano del 313, che ne liberalizzava il culto.

In questa pagina, con la preziosa collaborazione della Professoressa Francesca Paola Massara, docente di Archeologia Cristiana ed Arte ed Iconografia Cristiana presso la Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia “S. Giovanni evangelista.” di Palermo, suggeriamo degli itinerari di visita di "Palermo Paleocristiana"

La città entro le mura

La Palermo dell’età tardoantica, paleocristiana e bizantina (III – VII sec. d.C.) continua ad essere l’importante insediamento portuale che era in età romana, e mantiene fondamentalmente il baricentro nell’asse viario dell’attuale Cassaro (Corso Vittorio Emanuele), con una sostanziale continuità nel tessuto abitativo.
Per ricostruire quel periodo le fonti non sono molte; comparare ed integrare quelle letterarie e quelle archeologiche ci aiuta a individuare alcuni siti privilegiati.

Nell’area archeologica delle Ville romane  di Piazza Vittoria, gli scavi hanno messo in luce sepolture cristiane datate tra il V ed il VI secolo; le lucerne ed i materiali epigrafici ritrovati sono oggi conservati al Museo Archeologico Regionale “A. Salinas”. Evidentemente, nel periodo in cui si impostò il sepolcreto, il sito non era più adibito ad uso abitativo.

Nella stessa Piazza Vittoria si trovava la chiesa di Santa Maria “de picta”, ossia la chiesa di Santa Maria dell’Annunziata, c.d. “della Pinta”, così denominata da un’effigie della Vergine dipinta all’interno; la planimetria era molto insolita, circondata da colonnati, piuttosto che da pareti. Questo edificio di culto venne però abbattuto nel 1649.

Piazza Vittoria con l'impianto della Villa Bonano - l'area archeologica di Piazza Vittoria

La Cattedrale paleocristiana-bizantina

Le ipotesi per riconoscere il sito della Cattedrale paleocristiana-bizantina non sono sempre concordi; nell’attuale Piano della Cattedrale attuale però, sicuramente, esisteva un antico edificio di
culto cristiano, forse la cattedrale, anche se non ne conosciamo l’attuale posizione.

 

La Cripta

accoglie un’intera collezione di sarcofagi dall’età romana alla medievale. Tra questi spiccano due monumentali manufatti: il “sarcofago a stelle e corone” ed il grande sarcofago in pietra “del vescovo Nicodemo”.

Il sarcofago a "stelle e corone"

Il sarcofago è datato ad età teodosiana (ultimo ventennio del IV sec. d.C.), fu riutilizzato nel 1558 come sepoltura del Card. Arc. Pietro Tagliavia D’Aragona, che partecipò alla seconda e terza sessione del Concilio di Trento. Probabilmente proprio in occasione del reimpiego fu adattato il coperchio su cui il canonico Alessandro Guarrasi appose, nel 1706, l’iscrizione: “Petrvs De Tagliavia ex Comitibus Castriveterani S.R.E. Titvli S. Calixti Praesbyter Cardinalis Aragonivs Civis et ArpS. Panormus. in hac qvievit tvmba nonis Avgvsti 1558”.

La fronte del sarcofago reca, al centro, il simbolo dell’Anastasis, cioè della Resurrezione di Cristo: una croce latina sormontata dal monogramma di Cristo in corona d’alloro. Sul braccio trasversale della croce si poggiano due colombe ad ali spiegate, che sembrano beccare i frutti che adornano la corona trionfale, stretta da nastri. Ai piedi della croce, invece, ci sono due soldati romani, con elmo e corta tunica, armati di lancia e scudo.

Ai due lati dell’Anastasis si svolge la processione dei dodici Apostoli che, sei per lato, incedono verso il centro con portamento solenne, levando la mano destra nel gesto dell’acclamazione, verso il simbolo di Cristo. Sul capo di ognuno di essi la mano divina pone una corona gemmata. Lo sfondo è neutro anche se, all’altezza della testa, corre per tutta la fronte una fascia decorata come un cielo stellato in cui compaiono le stelle a sei punte, negli spazi liberi tra le teste degli Apostoli. Il marmo, materiale pregiato, e la tipologia, di alto valore teologico, ci riconducono ad una produzione tipica delle botteghe di Roma.

la sepoltura del Vescovo Nicodemo

Il grande sarcofago di pietra (forse locale) che si trova in fondo alla navata centrale della Cripta è celebre per essere stato riutilizzato per la sepoltura del Vescovo Nicodemo, il primo vescovo della città appena conquistata dai Normanni. Nicodemo, già a capo della comunità cristiana negli ultimi anni della dominazione islamica, sarebbe dunque stato sepolto nel 1083, riutilizzando un sarcofago di età bizantina. Il sarcofago, di fattura piuttosto semplice, ha la cassa decorata da una sequenza di strigilature (serie di linee curve) con al centro un clipeo (medaglione) che racchiude l’agnello mistico portatore di croce, simbolo di Cristo, così come descritto nell’Apocalisse di San Giovanni.

Il coperchio spiovente è occupato da tre grandi clipei: in quello centrale una mano benedicente, tra i due tondi che racchiudono una croce greca. Il sarcofago è stato datato tra il VI ed il VII secolo d.C.

Le catacombe paleocristiane di Palermo

 

Conosciamo, grazie sia alle fonti scritte che agli scavi archeologici, la fitta rete di catacombe che circondava la città fuori le mura urbiche, oltre il corso dei due fiumi Papireto e Kemonia, che circondavano la città a Nord e a Sud. In queste zone, tutta l’area era percorsa da gallerie, cavità e cunicoli sotterranei, cusati dall’erosione naturale della roccia calcarenitica.

 

 

Itinerario nel Trans-Kemonia.

Il limite meridionale della città antica era il letto del fiume Kemonia, detto “fiume del maltempo” per il suo carattere torrentizio; il suo percorso oggi coincide più o meno con l’attuale Via Castro, Piazza Casa Professa, Via Ponticello e Calderai, fino al mare.

Foto di Via Castro sotto cui, canalizzato, scorre il fiume Kemonia

In quella zona sono note una serie di ipogei e sepolture sotterranee sicuramente di età paleocristiana e bizantina, la maggior parte delle quali non è attualmente accessibile al pubblico per le condizioni di conservazione, ma che ha continuato ad essere collegata con edifici di culto del sopratterra ed è ricordata dalla toponomastica attuale, di origine medievale. La catacomba di San Michele Arcangelo (oggetto di recenti scavi archeologici) è più o meno ricalcata nella planimetria dalla omonima Chiesa, oggi parte integrante degli ambienti della Biblioteca Comunale.

foto della Chiesa di san Michele Arcangelo

Un vero “grappolo” di ipogei di dimensioni diverse, e probabilmente di diritto privato, si articolava nell’area sotto l’attuale Casa Professa: si tratta di Santa Maria de crypta, San Calogero in thermis, SS. Quaranta Martiri al Casalotto, San Pancrazio e Santa Parasceve. Sappiamo che l’ingresso ai primi due ipogei si apriva dall’interno della Chiesa del Gesù di Casa Professa, ma nel secolo scorso ogni accesso è stato murato.

Foto di Piazza Casa Professa

La piccola Chiesa di San Mercurio, ubicata accanto al ben più famoso complesso di San Giovanni degli Eremiti, si trova nel sito dove in età romana pare si aprisse un antro, sede del culto del dio Hermes – Mercurio, legato alla salubrità di una fonte; in età paleocristiana, poi, il sito venne cristianizzato dalla fondazione di una chiesetta sotterranea dedicata all’omonimo Santo. A lui si dedicavano, poi, ben due oratori, uno di fronte all’altro; infatti, nel 1557 si edificava, sopra l’ambiente ipogeico, un oratorio connesso anche al culto della “Madonna del deserto”. L’ “antro di San Mercurio”, dove sgorgava una fonte ritenuta miracolosa, oggi non è più accessibile; è superstite solo l’Oratorio cinquecentesco, in cui operò anche Giacomo Serpotta nel Seicento.

Itinerario nel Trans- Papireto. Le Catacombe di Porta d’Ossuna

Ancora visitabili sono invece, seppure parzialmente, le catacombe del Trans-Papireto, al limite Nord delle mura, riscoperte nel Settecento e ubicate nell’area dell’attuale Via d’Ossuna – angolo Corso Alberto Amedeo – Via Cappuccinelle.

Al momento del ritrovamento dell’antico accesso, si rinvenne anche un’epigrafe di età paleocristiana, dedicata alla piccola Maurica (oggi al Museo “A. Salinas”) ma si proseguì con la progettata edificazione del Monastero delle Cappuccinelle, con la cui costruzione si chiuse l’ingresso ad un intero settore di una catacomba che doveva essere abbastanza estesa.

Successivamente, alcuni decenni dopo, un casuale ritrovamento condusse all’identificazione del settore oggi visitabile: si tratta di una parte di catacomba comunitaria, datata al sec. IV-V d. C.

L’ingresso attuale è dalla parte opposta rispetto a quello originario; è preceduto da un vestibolo circolare fatto edificare dal 1785 dal re Ferdinando I di Borbone. La topografia prevede un asse principale con sviluppo Ovest-Est, che incrocia una serie di corridoi con andamento N-S. Il percorso, in realtà poco profondo, è illuminato da ampi lucernali e presenta gallerie ampie e larghe, su cui si affacciano una serie di cubicoli monumentali con decorazioni marmoree. Sono ancora presenti e visibili i loculi parietali e pavimentali, gli arcosoli polisomi, i sarcofagi risparmiati nella roccia per le sepolture originarie, un bancale probabilmente per il rito del refrigerium, una cerimonia funebre con frugale pasto da consumarsi presso le tombe dei defunti. Probabilmente l’intero complesso era collegato al settore sotto il Monastero delle Cappuccinelle.

Itinerario fuori le mura: Sant’Agata “de petra”. La Chiesa e la reliquia

La piccola chiesa di Sant’Agata “la Pedata” viene chiamata nei documenti medievali “de petra”, cioè “della pietra”, con chiara allusione alla particolare reliquia che vi si conserva.

Secondo un’antica tradizione agiografica, quando la Santa si reca da Palermo a Catania per subire il processo, fermatasi alle porte della città per allacciarsi un sandalo, lascia impressa un’orma sulla pietra. Secondo un’altra tradizione, da quel sasso sarebbe salita a cavallo per partire.
Questa pietra è nota fin dal Medioevo come “lapis Sanctae Agathae” (= Pietra di Sant’Agata): il primo documento che la cita espressamente è del 1261, ma di certo da molto più tempo tutta la zona, allora periferia, prendeva il nome da questa sacra presenza.
A Palermo vi erano ben tre chiese dedicate alla martire, ma questa veniva considerata la più antica

infatti, secondo alcuni studiosi il suo primo impianto sarebbe del sec. VI – VII. Si trovava “extra urbem” (= fuori città), tanto che un altro nome della chiesa era “S. Agata de porta” (= della porta), con riferimento alla vicina Porta S. Agata, tuttora esistente.

La porta collegava l’antica città fortificata alla campagna, in direzione del Monastero di Santo Spirito (oggi nel cimitero di S. Orsola). Lo storico Fazello racconta un celebre episodio: durante l’assedio dei Normanni alla città araba (1071), un cavaliere normanno, per incoraggiare i compagni, avrebbe attraversato una zona nemica vicina alle mura entrando da Porta Mazara e uscendo proprio da Porta S. Agata.
Nel sec. XIII porta e chiesa davano il nome all’intero quartiere e nel mese di Febbraio si celebrava una sentita e coinvolgente festa patronale.
Nel 1575 la chiesa è concessa alle maestranze dei fabbri, mugnai e calderai; nel 1624 essi la cedono ai Padri Mercedari Scalzi che però, dopo poco, l’abbandonano, per la mancanza di acqua dai pozzi e la presenza di “aria cattiva”. Nel 1663 i Padri Agostiniani Riformati della Congregazione di S. Adriano, uniti a quella di Centorbi, ottengono l’uso della chiesa, che ingrandiscono e a cui aggregano anche un convento.

Ancora oggi si trova, in fondo all’unica navata laterale, l’altare dedicato alla Martire Agata: la nicchia racchiude una statua di legno policromo del sec. XVIII; sotto l’altare è ben visibile la grossa pietra con l’incavo dell’orma nella parte superiore. Fino al secolo XIX era presente una epigrafe di marmo che sormontava l’arco della Cappella di S. Agata, che recitava:

Quisquis hic ades, sive hospes Panormi sive cives, agnosce Panormitanae Agatae Virginis integerr. et invictis. Martiris impressum divinitus in silice hac dura vestigium sempiternumque suae patriae monumentum ab optima cive Catanam hinc accitu Quintiani Sicilia Praesidis discendente traditum anno salutis 253 recole ac venerare, et cui mollita sunt saxa molle cor liquetur in lacrimas, nec minus illae proderunt, quam oleum hinc olim effusum ad miracula. 

La pietra calcarea, infatti, nell’antichità trasudava un olio miracoloso, che veniva effuso in particolare nel giorno della Santa.

Testo della Professoressa Francesca Paola Massara